Il dolore, Nelle tenebre - STAUROPOLIS

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D'altraParte

non si difenderà che con la sua Bellezza

In questo secolo così svigorito e sensuale, se c’è una cosa che somigli press’a poco a una violenta passione, questa è l’odio del dolore, così profondo da giungere quasi a identificarsi con l’essere stesso dell’uomo.
Questa vecchia terra, che in altri tempi, ovunque passassero uomini, si copriva di croci, che germinava, come dice Isaia, il segno della nostra Redenzione, viene straziata e devastata per essere costretta a dare la felicità alla razza umana, a questa progenie ingrata del dolore, che non vuole più soffrire.
Se esiste una legge universalmente inflessibile, è proprio quella della sofferenza che ogni uomo chiude in sé; legge che, giustapposta alla coscienza stessa del suo essere, presiede allo sviluppo della sua libera personalità e governa il suo cuore e la sua ragione così dispoticamente, che il mondo antico, atterrito, credendo di riconoscere in essa un cieco Dio dei suoi Dei, l’adorò sotto il nome terribile di Destino.
La semplice verità cattolica consiste nel bisogno assoluto di soffrire per essere salvati. Parola quest’ultima, la quale implica una necessità tale, che tutta la logica umana posta al servizio della metafisica più trascendente, non saprebbe darne l’idea.
Poiché l’uomo ha compromesso il suo destino eterno a causa di ciò che è chiamato il Peccato, Dio vuole che egli entri nell’ordine della Redenzione.
Dio lo vuole infinitamente.
Allora ha inizio una lotta terribile tra il cuore dell’uomo che vuole fuggire per mezzo della sua libertà ed il cuore di Dio che vuole farsi padrone, con la Sua potenza, del cuore dell’uomo.
Si crede con grande facilità che Dio non abbia bisogno di tutta la Sua forza per domare gli uomini. Questa credenza attesta una singolare e profonda ignoranza di ciò che è l’uomo e di ciò che è Dio in relazione a lui.
La libertà, questo dono prodigioso, inqualificabile, con cui ci è dato di vincere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; di uccidere il Verbo incarnato, di pugnalare sette volte l’Immacolata Concezione, di agitare con una sola parola tutti gli spiriti creati nel cielo e nell’inferno, di trattenere la Volontà, la Giustizia, la Misericordia, la Pietà di Dio sulle Sue Labbra e impedirle di discendere sulla Sua creazione, questa libertà ineffabile altro non è che questo: il rispetto che Dio ha per noi.
Proviamo un po’ a rappresentarlo, questo rispetto di Dio! Per esso, dal tempo della legge di grazia, Dio non ha mai parlato agli uomini con un’autorità assoluta, ma al contrario con la timidezza, la dolcezza e direi quasi l’ossequiosità di un questuante povero, che nessuna avversione sarebbe capace di scoraggiare.
Per un decreto, misteriosissimo e inconcepibile, della Sua eterna volontà, Dio sembra essersi condannato sino alla fine dei tempi a non esercitare sull’uomo alcun diritto immediato di padrone a servitore, né di re a suddito. Se Egli ci vuol possedere bisogna che ci seduca, perchè se Sua Maestà non ci piace, noi possiamo respingerla dalla nostra presenza, farla schiaffeggiare, sferzare e crocifiggere tra gli applausi della più vile canaglia. Egli non si difenderà con la Sua forza, ma soltanto con la Sua pazienza e la Sua bellezza: questa è la lotta terribile di cui parlavo poco fa.
Fra l’uomo involontariamente rivestito della sua libertà e Dio volontariamente spogliato della Sua forza, l’antagonismo è normale, l’attacco e la resistenza si equilibrano ragionevolmente. Questo perpetuo combattere dell’umana natura contro Dio è la fonte da cui sgorga l’inesauribile dolore.
Il Dolore! ecco dunque la parola grande! Ecco la soluzione di ogni vita umana sulla terra. Il trampolino di tutte le superiorità, il vaglio di tutti i meriti, il criterio infallibile di tutte le bellezze morali!
Non si vuole assolutamente capire che il dolore è necessario.
Coloro che affermano che il dolore è utile non ne capiscono niente. L’utilità suppone sempre qualche cosa di aggiunto e di contingente e il dolore è necessario. Esso è la spina dorsale, l’essenza stessa della vita morale.
L’amore si riconosce al suo segno, e quando questo gli manchi, l’amore non è che una prostituzione della forza o della bellezza.
Io dico che uno mi ama, quando quest’uno accetta di soffrire a causa mia o vantaggio mio. Altrimenti quest’uno che pretende di amarmi non è che un usuraio sentimentale che vuole installare nel mio cuore il suo traffico vile.
Un’anima fiera e generosa cerca il dolore con delirante impeto. Quando una spina la ferisca, essa preme su questa spina per non perdere nulla della voluttà d’amore che essa può darle, straziandola più nel profondo.
Il nostro Salvatore Gesù, Lui, ha sofferto a tal punto per noi che certamente dové farsi un accordo fra Suo Padre e Lui perchè ci fosse consentito, nel futuro, soltanto di parlare della Sua Passione senza che la semplice menzione di questo Fatto fosse una bestemmia di un’enormità tale da far precipitare il mondo in polvere.
Ebbene! noi siamo, pensate un poco, le MEMBRA di Gesù Cristo! Le Sue membra stesse!
La nostra inenarrabile miseria consiste nel prendere senza posa per figure e simboli inanimati le enunciazioni più chiare e più vive della Scrittura. Noi crediamo, ma non sostanzialmente.
Ah! Le parole dello Spirito Santo dovrebbero penetrare e colare nelle nostre anime come piombo fuso nella gola di un bestemmiatore o di un parricida.
Noi non comprendiamo di essere le membra dell’Uomo di dolore, dell’uomo che è Gioia, Amore, Verità, Bellezza, Luce e Vita supreme solo perchè è l’amante eternamente agitato dal supremo dolore, il Pellegrino dell’ultimo supplizio, accorso a soffrirlo, attraverso l’infinito, dal fondo dell’eternità, e sulla cui testa si sono accumulate in un’unità terribilmente tragica di tempo, di luogo e di persona, tutti gli elementi di tortura adunati in ciascuno degli atti umani compiuti nella durata di ogni secondo, su tutta la faccia della terra, durante sessanta secoli!
I Santi hanno visto che la sola rivelazione di un solo minuto della sofferenza infernale sarebbe capace di folgorare il genere umano, di dissolvere il diamante e di spegnere il sole. Ora, ecco ciò che deduce la ragione da sola, la più debole ragione palpitante sotto la divina luce: Tutte le sofferenze accumulate dall’inferno durante tutta l’eternità sono dinanzi alla Passione come se non fossero, perchè Gesù soffre nell’Amore, mentre i dannati soffrono nell’Odio; perchè il dolore dei dannati è finito ed il dolore di Gesù è infinito; perchè, infine, se fosse possibile supporre che qualche eccesso è mancato al dolore del Figlio di Dio, sarebbe ugualmente possibile credere che qualche eccesso è mancato al Suo Amore, ciò che è evidentemente un’assurdità e una bestemmia, poiché Egli è l’Amore stesso.
Noi possiamo partire da quel dolore per misurare ogni cosa.
Dichiarandoci membra di Gesù Cristo, lo Spirito Santo ci ha rivestiti della dignità di Redentori e quando ci rifiutiamo di soffrire, noi siamo esattamente simoniaci e prevaricatori.
Noi siamo fatti per il dolore e per il dolore soltanto.
Allorché versiamo il nostro sangue, esso scorre sul Calvario e di là su tutta la terra. Sventura a noi, in conseguenza se è un sangue avvelenato!
Quando versiamo le nostre lagrime, che sono «il sangue delle nostre anime», esse cadono sul cuore della Vergine e di là su tutti i cuori viventi. La nostra qualità di membra di Gesù Cristo e di figli di Maria ci ha reso così grandi che noi possiamo annegare il mondo nelle nostre lacrime.
Sventura dunque e tre volte sventura su di noi se sono lagrime avvelenate!
Tutto in noi è identico a Gesù Cristo, sul quale siamo naturalmente e soprannaturalmente configurati. Allorché dunque rifiutiamo una sofferenza, noi adulteriamo per quanto è in nostro potere la nostra propria essenza, noi facciamo penetrare nella Carne stessa e fino all’Anima del nostro Capo un elemento profanatore, che Egli in seguito deve espellere da Se stesso e da tutte le Sue membra con un raddoppiamento inconcepibile di torture.
Tutto ciò è ben chiaro? Non lo so.
In fondo io penso che in questo mondo decaduto ogni gioia risplende nell’ordine naturale e ogni dolore nell’ordine divino.
In attesa delle assise di Giosafat, in attesa che ogni cosa si consumi, l’esule del Paradiso non può pretendere che la sola felicità di soffrire per Dio. La genealogia delle virtù cristiane ha germogliato i suoi steli nel sudore di Getsemani e nel sangue del Calvario.
San Paolo ci grida che non dobbiamo conoscere che Gesù crocifisso, e noi non vogliamo credergli. Ci dimentichiamo continuamente di avere un solo esemplare per concepire tutto e spiegare tutto nella vita morale, e questo esemplare è il dolore stesso, l’essenza divinamente condensata di tutti i dolori immaginabili e inimmaginabili, contenuti nel più prezioso vaso umano che l’Eterna Saggezza ha mai potuto concepire e foggiare.
Il punto di vista che deve infine tutto abbracciare e tutto riassumere nei tre ordini di natura, di grazia e di gloria è di una semplicità assoluta e quasi monotona, tanto è sublime:
la Purezza è l’Uomo di dolore;
la Pazienza è l’Uomo di dolore;
la Bellezza e la Forza infinite sono l’Uomo di dolore;
l’Umiltà, il più insondabile degli abissi, e la Dolcezza, più vasta del Pacifico, sono ancora Lui: omnia in ipso constant.
Dall’alto di questa Montagna, simboleggiata, a quel che sembra, nella Montagna della Tentazione, si scoprono tutti gli imperi, cioè tutte le virtù morali invisibili da ogni altro punto, e l’amore solo, il grande, appassionato, estasiante amore può dare le forze per arrivarci.
I Santi hanno cercato di partecipare alla Passione di Gesù. Essi hanno creduto nella Parola del Maestro, quando dice che possiede il più grande amore colui che dà la vita per i suoi amici (Gv 15, 13).
In tutti i tempi le anime ardenti e luminose hanno creduto che per fare abbastanza bisognava assolutamente fare in più, e che in questo modo si conquistava il Regno dei Cieli.

Leon Bloy, Nelle tenebre, Il dolore

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