SopraLogica della Croce - STAUROPOLIS

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L'albero della Croce

L’albero della vita nel mezzo del paradiso (Gen 2,9).
In queste parole tre cose si notano: primo, dell’albero della croce la preziosità: albero della vita; secondo, della sua virtuosità: nel mezzo; terzo, della sua località: del paradiso.
Quanto al primo punto.
La croce benedetta è preziosissima, da essa è uscita la vita dell’uomo.
San Gregorio nel prefazio (quadragesimae): Hai stabilito nell’albero della croce la salvezza del genere umano. Per cui lo Spirito Santo, nel Cantico, dice: Sotto la mala pianta ti ho svegliato (Ct 8,5), cioè previdi che saresti stato svegliato e questo per giustificazione di grazia; infatti il padre e la madre nostri furono uccisi dalla colpa, sotto l’albero della pianta proibita, ma allora l’amoroso Gesù, segnò, allora, la pianta per dissipare i danni dell’albero (inno “Pange lingua gloriosi”).
Dunque bisogna che l’anima del peccatore, uccisa dal peccato, perché riottenga la vita e la salvezza, misticamente contemplando, ascenda per i sette splendidi rami della croce, in modo che nel centro del suo cuore sia piantato l’amabilissimo albero della vita di cui i nobilissimi cittadini del cielo gustano il frutto soavissimo.
In ogni ramo si apre un fiore bellissimo e nidifica un uccello.

Il primo ramo è la considerazione di se stessi.
Medita spesso su te stesso: pensa a ciò che fosti, che sei, che sarai e ti scoprirai misero e miserabile, povero, cieco e nudo, come si legge nel capitolo 3 dell’Apocalisse (Ap 3,17). Il profeta riflettendo su questo diceva: Sono ridotto a nulla e non ci pensavo (Sal 72,22). E San Bernardo: “Cerca di conoscere te stesso perché è molto meglio” (Ps-Bernardo, Medit. piiss. de cognit. humanae condit., c.5, n.14 - PL 184, 494), ecc. Michea: La tua umiliazione in mezzo a te (Mi 6,14), cioè nell’ombelico, che è la parte più fragile del corpo, così in mezzo al cuore deve stare l’umiltà.
Sopra questo ramo nidifica il pavone. La sua natura è questa: se, mentre dorme, è svegliato all’improvviso grida fortemente, perché ritiene di aver perduto la propria bellezza. L’anima somiglia al pavone: dormendo nelle tenebre di questo secolo deve sempre temere di perdere la sua bellezza, cioè della propria immagine. Salmo: Io ti chiamo, salvami, e seguirò i tuoi insegnamenti (Sal 118,146). In altri termini: il pavone, per sua natura innalza le penne delle ali e della coda e, guardando in alto, vede e gode della loro bellezza; quando però abbassa lo sguardo e vede i suoi piedi tanto neri, strilla: pau, pau, pau!
Sotto l’aspetto morale: il pavone, cioè l’anima, nidificando sul ramo dell’esame di se stesso ha due direzioni: verso l’alto, considerando la bellezza (rispetto all’anima) dell’intelletto, della memoria, della volontà, e considerando umilissimamente tutte le grazie che riguardano la stessa anima; gode, allora, vedendo di essere creata ad immagine del Creatore, e già arricchita di tante grazie, gode perché si vede compagna degli Angeli, gode in quanto tabernacolo della divina Trinità. Giovanni: Verremo a lui e ci stabiliremo da lui (Gv. 14,23). (Continua e prosegui parlando delle altre grazie ed eccellenze).
E nota che il pavone non si allieta se non quando alza le penne, per dimostrare che deve attribuire a Dio tutte le grazie e a lui, per ciascuna, dirigere la gratitudine dicendo: Ricevi, o dolcissimo Gesù, tutte queste grazie perché sono tue.
Verso il basso, naturalmente, guarda la nerezza dei piedi, (rispetto al corpo) cioè le passioni, i pessimi desideri, o meglio guarda la miseria e la propria fragilità e vede che da sé non possiede nulla. Grida pau, pau, cioè pauper, povero io sono, e nei travagli della mia gioventù, innalzato però, cioè, per grazia tua, umiliato e confuso (Sal 87,16), per la mia miseria.
Allora nasce un fiore bellissimo cioè la viola profumata e soave, la santa umiltà: sentendone il profumo il Figlio di Dio entrò nel seno della Vergine e ne assunse la carne. Luca 1(, 48): Perché ha guardato alla bassezza della sua ancella.

Il secondo ramo è la compassione del prossimo.
Si compatisce il prossimo quando l’anima, con buona e sincera intenzione, esamina quello che in sé dispiace al suo Creatore e per questa conoscenza ricupera l’umiltà. Allora umilmente scende verso la debolezza del prossimo. Ai Filippesi 1 (,22-24): Ciò che sceglierò lo ignoro, sono infatti attirato fra queste due cose: da una parte il desiderio di morire ed essere con Cristo, cosa migliore, dall’altra restare nella carne che è necessario per voi. E il beato Martino: Signore se al tuo popolo sono ancora necessario, non rifiuto la fatica. E il beato Francesco: non vivere solo per se stessi, ma giovare agli altri.
Sopra questo ramo nidifica la yrena (allodola, avvoltoio?) che è di tale natura da abitare presso i sepolcri dei morti e quando qualcuno si avvicina alla morte, lo sente da lontano e grida con forte rumore. Questo uccello simboleggia l’anima che prova compassione per i peccatori morti in peccato mortale, per richiamarli alla via della verità. Isaia 58: Grida non cessare, come una tromba alza la tua voce. Così Geremia 10 gridava: Le mie viscere fremono (Lam 1,20). Massimamente devono gridare i predicatori contro chi si rivolge agli indovini, gli oratori riportando sulla via della verità le pecore erranti di Cristo. Ahimè! Il diavolo in questo mondo ha tanti predicatori e dottori, cioè indovini e fattucchiere, ma il Signore Gesù, a stento, trova chi voglia annunziare la verità.
Su questo ramo nasce il gladiolo. Questo fiore cresce attorno alle acque: è come l’anima che cresce per mezzo della partecipazione alle sofferenze degli altri, nelle acque delle lacrime, come afferma David nei salmi: Torrenti di lacrime grondano i miei occhi, perché non custodirono la tua legge (Sal 118,136). Tali lacrime deve avere l’anima che in questo ramo, o alla sua cima, desidera contemplare. Su di esso salì l’Apostolo che diceva 2 Cor 11 (, 29): Chi si ammala ed io non mi ammalo? Chi riceve scandalo, senza che io ne frema? Geremia: Chi farà del mio capo una fonte d’acqua, dei miei occhi una sorgente di lacrime, ecc. (Ger 9, 1).

Il terzo ramo è l’afflizione spirituale.
Quando l’anima fedele, costituita in uno stato di penitenza, accetta con pazienza le afflizioni, e anche con gaudio, come Agata che, con letizia e gloriandosene andava in carcere, come se fosse stata invitata ad un convito (Atti dei Santi, Febbraio I). E il beato Francesco, ecc. 2 Cor 11 (,27): Nella fame, sete, freddo, nudità, ecc. Chi non porta la sua croce e mi segue non è degno di me (Mt 10, 30; Lc 14, 27).
Su questo ramo nidifica il cigno il quale ha tale natura che quando si avvicina alla morte canta soavemente: simboleggia l’anima che gode nelle tribolazioni. Atti 5 (, 41): Gli apostoli andavano godendo in cospetto del sinedrio, ecc. Nota che allora il giusto si avvicina alla morte quando, quasi morto ai peccati, vive di grazia. Col 3 (,3): Siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo.
Su questo ramo nasce il giglio che quanto maggiormente è punto dalle spine, tanto odora. Ct 2 (,2): Come un giglio tra le spine, così la mia amica tra le fanciulle. Così l’anima fedele non deve rendere male per il male, ma mostrare verso il prossimo la fragranza della dolcezza. L’apostolo: Vinci con il bene il male (Rm 12, 21). 2 Cor 2 (, 15-16): Siamo un buon odore a Dio, per quelli che si salvano e per quelli che periscono. Per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita.

Il quarto ramo è la compassione di Cristo.
Quando l’anima richiama alla sua memoria le sofferenze del suo Creatore, si strugge per la grandezza dell’amore e volentieri sopporta tutti mali. San Gregorio: “Se si ricorda la passione di Cristo, non c’è nulla che non si sopporti con animo sereno” (Moralium libri II, 37). Infatti tutte le amarezze e le avversità, le diventano dolci. Egli nel suo corpo, sulla croce, portò i nostri peccati (1 Pt 2, 24).
Su questo ramo nidifica l’arpia che ha volto umano ma è così crudele da ammazzare il primo uomo che incontra e, dopo averlo ucciso, quando si specchia nell’acqua in cui si riflette il suo volto e si accorge di aver ucciso un proprio simile, viene afflitta da un grande dolore, ogni volta che vede un uomo. L’arpia è l’anima che deve avere un volto umano, non ferino, i cui peccati uccisero Cristo Gesù. Isaia 53 (,8): Per la scelleratezza del mio popolo l’ho percosso. Deve crucciarsi guardandosi nelle acque delle lacrime perché per lei il Signore nostro e creatore amoroso, Cristo Gesù, è stato appeso sul legno della croce. Infatti deve fare come la tortora che quando perde il suo compagno piange lamentosamente e massimamente quando trova qualche piuma o un segno del suo compagno. Troviamo i segni di Cristo Gesù per le pareti, vedendolo in croce.
Su questo ramo nasce la rosa, dentro rossa per la carità, di fuori bianca per la mondezza e la purità. Rosseggia l’anima, sposa di Cristo, a causa dell’amore, mentre si considera redenta dal sangue preziosissimo di Cristo. E Gesù che cosa e quante cose sofferse per suo amore: non solo venne perseguitato, ma si è degnato di morire, vergognosamente (come un malfattore), per redimerla.
Osserva una bellissima figura della redenzione. Un certo re, nobilissimo, ebbe una figlia. La violò un soldato che venne cacciato dal regno come un traditore. In disprezzo del re che lo aveva espulso ne rese adultera la figlia che il padre, irato, privò di tutti i beni paterni espellendola dal suo regno con grande vituperio. Passato molto tempo, parecchi amici del re lo pregavano perché la restituisse alla dignità di una volta; massimamente pregavano il figlio del re per la sorella. Egli, spinto da affettuosa compassione, ottenne di liberare la sorella e ricondurla al regno con onore. Ottenuto il permesso del padre, uscì dal regno cavalcando un cavallo bianco e, procedendo tutto armato, cercò la sorella; la trovò, ma quel soldato che aveva violato la figlia del re, avendone sentore, attaccò con lui un fortissimo combattimento; infine il soldato uccise il cavallo del principe ed egli stesso, il principe, fu ucciso da lui, e la sorella venne liberata dal potere del soldato. La fanciulla, vedendo morto suo fratello, con il cavallo, ne prese le armi e le teneva nella sua camera e più volte, ogni giorno, vi entrava e piangeva inconsolabilmente per la tenerezza dell’amore del fratello.
Applicazione morale: Il re è lo stesso Dio Padre; il soldato è lucifero, espulso dal paradiso per la sua superbia; la figlia del re è l’anima che il demonio indusse alla fornicazione, facendole mangiare il frutto proibito. Venne espulsa dal paradiso terrestre e privata dell’eredità celeste. Gli amici celesti che pregavano per lei sono i santi patriarchi, profeti che gridavano a Dio: Manda colui che manderai, diceva Mosè (Es 4, 13); Davide diceva: Inclina i tuoi cieli e discendi (Sal 143, 5); Isaia: Manda o Signore l’Agnello dominatore della terra (Is 16, 1). Il figlio del re è il nostro Signore Gesù Cristo, pio e dolce fratello nostro. Il salmo: Narrerò il tuo nome ai miei fratelli (Sal 21, 23). La camera dove si armò è il grembo preziosissimo della Vergine incontaminata Maria; il cavallo bianco è la carne purissima che ricevette; armature sono le sante virtù. Questo valoroso soldato, cioè Gesù, vide Giovanni, Apocalisse 6 (,2), all’apertura del primo sigillo, quando disse: Ecco il cavallo bianco, cioè la carne di Cristo, e colui che sedeva su di esso, cioè la divinità, teneva l’arco. L’arco di legno e la corda sono la misericordia e la giustizia; la corda trae l’arco, cioè la misericordia flette la giustizia. Infatti, l’arco, tratto dal legno, avendo due corni è la giustizia di Dio tratta dalla tenerezza, cuore della misericordia. I due corni: il premio dei buoni è il corno superiore, e il corno inferiore, cioè, la punizione dei cattivi. Abacuc (3, 4): E i corni nelle sue mani. Questi due corni sono: l’amore, cioè il corno superiore e il timore, il corno inferiore. E segue: Uscì il vincitore per vincere (Ap 6,2), cioè dal grembo verginale; con le lacrime e le afflizioni trentatrè anni prima, cercò l’anima, sua sorella, e la liberò combattendo con il traditore e il suo cavallo, cioè il corpo, appeso al legno della croce, fu ucciso.
Prendi, o anima mia, le armi di tuo fratello amorosissimo Gesù, cioè la croce, la lancia, il fiele, l’aceto ecc., nascondile nella camera della memoria, dove, piangendo e sospirando, molte volte al giorno, ricorderai di quanto immenso amore il nostro piissimo Creatore ci ha amato, egli che volle morire per darci la vita.

Il quinto ramo è il desiderio di gloria.
Salmo: Come desidera il cervo; ha avuto sete l’anima mia di Dio forte, vivo (Sal 41, 2), ecc. (tutto il verso). Sopra questo ramo era asceso Paolo che diceva: desidero dissolvermi ed essere con Cristo (Fil 1,23). Iacopone: “Amor di carità” (Iacopone da Todi, Laude 90).
Su questo ramo nidifica l’usignolo; questa è la sua natura: canta di notte, ma appena vede che si fa giorno e che brillano i raggi del sole, canta con tale gioia che quasi scoppia. Questo usignolo è l’anima che canta nella notte della tentazione e tollerando ogni cosa con pazienza, aspetta la luce del sole, cioè la consolazione di Gesù Cristo. Isaia 26 (,9): L’anima mia ti desiderò di notte, ma con il mio spirito, nel mio intimo, dalla mattina sarò vigilante verso di te, ecc.
Su questo ramo nasce il croco che è di colore pallido. È l’anima che impallidisce ardendo per eccessivo desiderio. Cantico (1, 5): Non tener conto che sia scura: mi ha scolorito il sole. Oppure il croco che conforta il cuore, rafforza l’animo a tollerare ogni male per Cristo. Rom 8 (,35): Chi ci staccherà dall’amore di Cristo? (Qui puoi cantare: “Amor la tua amicizia”, ecc. versi) (Iacopone, Laude 81).

Il sesto ramo è la visita superna.
Quando Dio, per sua grazia, visita l’anima che lo desidera. David, Salmo (41, 1): Come desidera, ecc. Cantico di Zaccaria: Ci visitò, sorgendo dall’alto per illuminare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra (Lc 1, 78-79).
L’uccello che nidifica su questo ramo è la rondine la quale è di tale natura che, volando, prende il cibo. L’anima, infatti, che è infiammata dal desiderio, non deve ricevere nulla di terreno se non volando, cioè senza una sosta di piacere, passando, deve prendere il cibo spirituale nell’aria della contemplazione.
Su questo ramo nasce il girasole (il segnasole) e lo si chiama girasole, perché quando sorge il sole quel fiore si apre a ricevere i raggi della divina dolcezza; infatti guarda sempre il sole, direttamente, in linea retta e quando il sole viene meno egli chiude le sue foglie e resta chiuso tutta la notte. E anche l’anima, aprendo l’intelligenza e la volontà per ricevere i raggi del sole di giustizia, che è Cristo Gesù, nella notte dell’avversità, si chiude sino alla venuta del diletto per non perdere, a causa della negligenza, ciò che acquistò con la giustizia. Maria Maddalena: il cuore suo, quando venne al sepolcro, non si trova che abbia risposto all’Angelo che parlava con lei, perché il suo cuore bruciava di tanto fuoco di amore da non volere ricevere conforto da nessuno.
L’angelo splendeva di una grandissima luce, ma a lei non bastava perché il suo cuore cercando il vero sole, non dava importanza a tutto quello che vedeva di diverso.

Il settimo ramo è lo sfinimento.
Quando l’anima è talmente stretta dai miracoli dell’amore divino che il corpo deve venir meno. Ne abbiamo esempio nel santo fratello Giovanni di Alvernia che, durante la celebrazione della Messa, veniva meno a causa della dolcezza dell’amore di Gesù e diceva: questo è, questo è (Atti dei Santi, Agosto II). Salmo (118, 81): Venne meno nella tua salvezza l’anima mia. Per questo sfinimento il cuore di fra Iacopone (così) si spaccò nel mezzo per il fuoco dell’amore.
Su questo ramo nidifica la fenice che, quando ritiene imminente il giorno della morte, raccoglie varie specie di aromi in un recipiente, cioè incenso, mirra ecc. Terminato il tempo della sua vita, per il calore dei raggi solari e sbattendo le ali, li accende e soltanto dentro la fiamma crema se stessa. Dalle sue ceneri esce un verme e, poco a poco, cresce e col procedere del tempo stabilito veste le ali e si trasforma nell’aspetto di uccello, come prima.
(Traine la morale perché l’immagine è bellissima). La fenice che è unica al mondo indica la rarità di coloro che ascendono su questo settimo ramo. Infatti pochi contemplano quello che unicamente è necessario per la salvezza. Le specialità aromatiche sono i benefici di Dio, cioè della creazione, provvidenza, redenzione, incarnazione ecc. Si devono porre davanti al sole di giustizia, rendendogli grazie e implorando sempre più il fuoco dell’amore divino.
Su questo ramo nasce il pepe. È piccolo e nero e in questo si nota l’umiltà. È caldissimo e in ciò si osserva la ferventissima carità ed è di figura rotonda in cui si osserva la massima abilità al movimento di operare bene.

In B. MATTHAEI AGRIGENTINI O.F.M., Sermones varii, a cura di A. Amore, Roma 1960.
Ha tradotto in italiano il sermone De Cruce, sopra riportato, Mons. Domenico De Gregorio, primo Presidente dell'Accademia dei Santi Agostino e Tommaso.
 
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