Le apparenze, Nelle tenebre - STAUROPOLIS

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D'altraParte

il mendicante della Porta meravigliosa

Non c’è illusione più banale di quella che consiste nel credere di essere realmente quel che ci sembra di essere; universale illusione, corroborata, lungo l’intero corso della vita, dalla tenace impostura di tutti i nostri sensi. Ci vorrà la morte e nulla meno della morte per farci conoscere il nostro inganno di sempre. Nell’attimo stesso in cui ci sarà rivelata la nostra identità, così compiutamente ignota a noi stessi, inimmaginabili abissi si sveleranno ai nostri veri occhi, abissi in noi e fuori di noi. Gli uomini le cose gli avvenimenti ci verranno infine universalmente chiariti ed ognuno di noi potrà verificare l’affermazione di quel mistico che dice: Dal tempo della caduta tutto il genere umano è sprofondato nel sonno.
Sonno prodigioso delle generazioni, per natura accompagnato dall’incoerenza e dalla deformazione infinite di tutti i sogni. Noi siamo dormienti in cui si affollano le immagini semicancellate del perduto Eden, siamo mendicanti ciechi alla soglia di un palazzo sublime la cui porta è chiusa. E non soltanto noi non riusciamo a vederci gli uni con gli altri; ma ci è impossibile distinguere al suono della voce, tra i nostri vicini, il più vicino.
Ecco tuo fratello, ci viene detto. Ah! Signore, come riconoscerlo in questa moltitudine in cui nulla si discerne, e come sapere se mi rassomiglia, dal momento che egli è, sì, fatto a Vostra immagine, così come lo sono io stesso, ma il mio aspetto mi è ignoto?
In attesa che Vi piaccia risvegliarmi, io non ho che i miei sogni, ed essi sono talvolta spaventosi. Quanto sarebbe più difficile districare le cose senza il vostro intervento! Io credo alle realtà materiali, concrete, palpabili, tangibili come il ferro, incontestabili come l’acqua d’un fiume, ed intanto una voce interiore sgorgata dal profondo mi dà la certezza che non vi sono che simboli, che il mio corpo stesso è un’apparenza, che tutto quanto mi circonda è un enigmatico velo.
Mentre gli uomini si agitano nelle visioni del sonno, Dio solo capace di agire fa realmente qualcosa. Egli scrive la Sua Rivelazione nelle apparenze degli avvenimenti del mondo, ed è questa la ragione per cui ciò che chiamiamo la storia è così assolutamente incomprensibile.
Senza andare troppo lontano, è possibile immaginare un annalista soddisfacente della guerra mondiale, di questa guerra della quale crediamo di essere da tre anni i testimoni? Supponendo che il temerario non sprofondi immediatamente nella palude dei documenti, come se la sbrigherà egli ad allinearli in un modo plausibile? Soltanto a pensarci il cuore manca e la ragione si spaventa.
Fra qualche anno che cosa resterà dei milioni di soldati che l’imperatore tedesco ha gettato sul mondo per calpestarlo ed asservirlo? Che resterà di questo criminale e che resterà di noi? Polvere e un poema di desolazione inaudita. E questa sarà tutta la storia, tutta la storia nella sua apparenza. Coloro che verranno dopo di noi non ne capiranno niente, se non che il tempo della vita apparente è veramente assai breve e che gli avvenimenti sono nubi, più o meno nere, ma infallibilmente dissipate poi; il che non aveva bisogno di una così colossale dimostrazione.
Perchè, in questo momento, io sono ossessionato dal salmo In exitu (1), dove si parla degli «idoli delle genti»? Ecco qui una donna bellissima, d’una bellezza infinitamente spirituale, adorata da una moltitudine, capace (si dice) di dannare i santi. Ecco da un’altra parte un uomo di Stato famosissimo, universalmente ammirato per la sua eloquenza e la sua perspicacia. Due idoli!
«Essi hanno la bocca», mi dice lo Spirito Santo, «e non parleranno; hanno occhi e non vedranno; hanno orecchi e non udranno; hanno narici e non odoreranno; hanno mani e non possono palpare; hanno piedi e non possono camminare, e non potranno trarre un grido dalla gola. Coloro che li creano», è aggiunto, «divengano simili ad essi, insieme con quanti in loro confidano ».
È divenuto un luogo comune dire che il miracolo è la restituzione dell’ordine. Nondimeno non esiste altro mezzo per dimostrare la perennità delle apparenze! Tutti credevano quel mendicante zoppo dalla nascita (2). Pietro gli dice: «Io non ho né oro, né argento, ma quel che ho te lo do». Istantaneamente l’infermo è guarito a perfezione. Che cosa aveva da dare, il Principe degli Apostoli, e che cosa mancava a quel povero? La sola cosa necessaria, il Paradiso terrestre. Pietro non aveva smesso di vigilare dopo il canto del gallo pasquale ed il mendicante della Porta meravigliosa era in profondo sonno. Pietro gli dice prima di ogni altra cosa, irresistibile e autoritario: «Guardami!» e il dormiglione, socchiudendo gli occhi, aveva scorto, per la prima volta, l’integrità primordiale, le colline soprannaturali del Giardino di Voluttà, le sorgenti infinitamente pure, le vegetazioni salutifere, i viali indescrivibili di quella sede dell’Innocenza. Tutto questo sul viso del Pescatore di uomini, che Gesù aveva prescelto.
Non occorreva altro per dissipare istantaneamente le apparenze e restituire la perfetta salute, la vita stessa, ad un infelice che credeva soltanto di mendicare l’illusione di un pezzo di pane da infelici come lui che avessero l’illusione di possedere qualche cosa. E’ anche detto che l’ombra di Pietro guariva.

Leon Bloy, Nelle tenebre, Le apparenze



(1) Nel testo ebraico il salmo «In exitu» e quello degli «idoli delle genti», sono, rispettivamente, il 113 e il 115; nella Vulgata si congiungono in uno stesso salmo, il 113. Il passo che l’autore menziona è il seguente: «Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria, per la tua misericordia e la tua felicità. Perchè non dicano le genti: "Dov’è il loro Dio?" Il nostro Dio è nel cielo, e tutto quel che vuole egli fa. Gl’idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani degli uomini. Han la bocca e non parlano, han gli occhi e non vedono, han gli orecchi e non odono, han le narici e non odorano, han le mani e non palpano, hanno i piedi e non camminano, non emetton suono con la loro gola. Diventino simili ad essi quelli che li fanno e quanti confidano in loro!...».

(2) Atti degli Apostoli, 3, 1-8. «Ora, Pietro e Giovanni salivano al tempio sull’ora della preghiera, a nona. E veniva pertanto un uomo, storpio dalla nascita, che ogni giorno posavano alla porta del tempio detta la Bella, per chiedere elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare, chiese loro l’elemosina. E Pietro con Giovanni, fissandolo, disse: "Guardaci". E quello li guardava attentamente, aspettando di ricevere da essi qualche cosa. Ma Pietro disse: "Non ho né argento né oro; ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, alzati e cammina". E, presolo per la mano destra, l’aiutò ad alzarsi; ed in quell’istante, le piante e le caviglie dei piedi gli diventarono forti. D’un salto fu in piedi e si mise a camminare, ed entrò con essi nel tempio, camminando, saltando e lodando Dio».

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